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Relazione sul commento al ”Discorso della montagna” di Anna Pia Viola


Introduzione….

Dopo una breve premessa relativa alla vita cristiana, vista spesso come impegno o compito oneroso nello sforzo di essere buoni e fare del bene, si è riflettuto su cosa significhi davvero essere cristiani. Non si tratta infatti di abbandonarsi a una vita scandita da rigide regole ma “sperimentare la gioia di vivere al positivo”. La dott.ssa Viola si poi è soffermata su cinque delle beatitudini del Discorso della montagna, commentando e suggerendo degli esercizi da mettere in pratica per tradurre in concreto la Parola, nello spirito del ritiro.

Parlando dei poveri in spirito si è sottolineato il duplice valore della povertà, spirituale e nella sua concretezza materiale. Entrambi gli aspetti sono importanti: essere poveri in spirito non significa solo rinunciare a qualcosa a cui si tiene per darlo agli altri, né, come osserva S. Francesco, il mortificarsi fisico. Per essere poveri in spirito occorre distaccarsi dall’io, prendere le distanze dalla propria immagine (concretizzando attraverso il pratico esempio delle cattive figure di cui sempre ci si preoccupa). Rinunciare all’attaccamento diventa dunque un dono e lo si sfrutta per vivere per sé, senza badare a soddisfare le aspettative altrui. La dott.ssa Viola ha invitato a non sottovalutare certo i bisogni materiali che vanno pure soddisfatti: la povertà non è miseria, ma occorre distinguere quali bisogni sono davvero necessari. L’esercizio proposto è stato quello di chiedersi prima di ogni acquisto se si ritenga o meno indispensabile alla sopravvivenza quel bene; riconoscendolo spesso non necessario, per quanto piacevole, si riuscirà facilmente a  rinunciare alla ricerca dei bisogni inutili.

A introdurre la beatitudine degli assetati e affamati di giustizia è stata la riflessione sull’aggettivo “giusto”, da sempre attribuito a Dio come qualità che Lo rende superiore rispetto all’uomo (basti pensare ai numerosi accenni presenti nel Salmo 9). Sin da bambini si matura l’idea che l’altro individuo sottragga qualcosa che spetta di diritto facendo nascere l’ingiustizia. Per i più giustizia è sinonimo di rivendicazione. Essere giusti nella beatitudine, ha spiegato la dott.ssa Viola, è riconoscere il grido del fratello: occorre ascoltare chi dice “non è giusto” per cercare di capire cosa stia reclamando. Il termine giustizia non va attribuito alla violazione di una legge ma è il grido del popolo. L’invito è stato quello a prestare attenzione al fariseismo e agli atteggiamenti di chi si sente corretto solo perché osserva le regole e non si cura di coloro che sono in difficoltà. La giustizia va dunque intesa come restituzione, dare a ciascuno il suo prendendolo dalla propria individualità, perché all’uomo è stato dato per donare agli altri. La dott.ssa Viola ha messo in guardia anche dal cullarsi nei propri limiti poiché anche vivendo secondo le proprie possibilità si trova il coraggio di donare il poco che si possiede; i beni che si hanno sono un’occasione per migliorarsi come individui attraverso la loro restituzione ai fratelli. I cristiani non sono infatti chiamati all’elemosina (donare il superfluo, ciò di cui si può fare a meno) ma alla condivisione.

Nella morale comune si associa alla “misericordia” l’intenzione del lasciar correre, perdonare, superare in generale il negativo. Gesù insegna invece che la misericordia è il frutto dell’esperienza di incontro con Dio. Non la si può spiegare, solo chi ha sperimentato può comprendere. Chi infatti è stato perdonato potrà a sua volta perdonare grazie alla presenza di Dio nella sua vita. Allo stesso modo in un momento di grande dolore se si sperimenta Dio e si riceve perdono al posto della distruzione, si diviene capaci di perdonare e compatire. L’incontro con Dio che è misericordia rende l’uomo stesso capace di misericordia. Non occorre amare solo perché lo insegna Gesù ma perché, sentendosi amati, si diviene capaci di imitarlo. Nell’A.T. Dio viene raffigurato con tratti di tenerezza straordinaria; nel N. T. c’è Gesù immagine di Dio e i profeti non hanno bisogno di altro che della sua descrizione per parlarci della bontà di Dio. La dott.ssa Viola ha continuato ancora citando il Siracide 18,12 (‹‹la misericordia dell’uomo riguarda il prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente››) e facendo riflettere su come essere misericordiosi significhi stare dalla parte degli ingiusti: Dio non è infatti venuto per i buoni ma per i peccatori ed è tra loro che va intrapresa la personale ricerca di Dio.
Considerando povero chi non ha neanche gli strumenti per risollevarsi, si è proposto l’esercizio di farsi compagno di chi opera tutta la vita combattendo con le sue debolezze.

Nella beatitudine dei puri di cuore l’aggettivo “purezza” viene privato della moralità relativa agli ambiti sessuale e comportamentale che vengono spesso ad esso attribuiti. In realtà puro è ciò che è retto, chiaro, se stesso. È puro chi possiede un cuore capace di amare, soffrire in tutta la sua spontaneità. È beato chi ascolta il proprio cuore e quello degli altri. La dott.ssa Viola ha accennato a Benedetto XVI che ha parlato della necessità di avere un “cuore di carne” (Ezechiele): si vede Dio non solo perché ci si comporta rettamente ma perché si vive col suo stesso cuore. Occorre togliere la durezza e tutto ciò che non è amore. Altri riferimenti biblici vanno ricercati nel Salmo 51 e in Samuele (l’uomo guarda all’apparenza, Dio guarda al cuore). Cambiare il proprio cuore, a conclusione della riflessione su questa beatitudine, aiuta a trovare nuove prospettive.

Infine l’ultimo commento è stato quello relativo alla beatitudine degli operatori di pace. Essere costruttori di pace è l’apice dell’essere cristiano. Non esiste pace senza giustizia ed essa non va intesa come armonia universale facile e banale ma come processo costitutivo nel tempo, impegno. La pace non va invocata ma costruita con fatica giorno dopo giorno. Per questo è più comprensibile chi rinuncia ad essa, perché appare consapevole della difficoltà del costruirla e mantenerla.
L’esercizio è stato quello di provare ad avere fiducia nella presenza della bontà in ogni individuo (anche “l’altro” è un costruttore di pace) e di adempiere ai propri doveri per evitare disaccordi e ingiustizie. Può essere garante di pace anche reagire con pazienza e tolleranza ad ogni angheria subita, poiché i fratelli sono continue occasioni di mortificazioni e sacrifici a Dio.

A conclusione dell’incontro ci si è soffermati sull’importanza dello smontare la violenza come reazione al sopruso che, nella civiltà di oggi, è causa di molti mali. Le parole della dott.ssa Viola hanno esposto in maniera semplice e chiara dei contenuti che sono giunti diritti al cuore degli ascoltatori. La Parola non smette mai di parlare dei veri valori della vita che spesso proprio i giovani hanno perso di vista. E l’interessante modalità di trattazione della tematica ha dato frutto attraverso una nuova consapevolezza: che ogni itinerario spirituale ha valenza solo quando viene tradotto in una esperienza di concretezza.

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